Il genio della Nouvelle Vague italiana che ama la Romagna
di Marilena Spataro
Nato a Bologna, ottant'anni fa, Gian Vittorio Baldi è il primo artista italiano ad aver capito la lezione della Nouvelle Vague e ad averla sperimentata da noi.
E' anche colui che per primo nel Dopoguerra ha utilizzatoin Italia la presa diretta in tutte le sue potenzialità, conferendo a questa tecnica la dignità di formidabile mezzo espressivo. Ed è ancora il produttore coraggioso che ha realizzato pellicole difficili firmate da personaggi del calibro di un Godard, di un Bresson e di un Pasolini. Mai, come per questo artista, il detto “nessuno è profeta in patria” suona veritiero. Essere un outsider, e per giunta lungimirante, non ha certo giovato alla sua carriera, i maggiori riconoscimenti come regista Baldi li ha ottenuti, e continua a ottenerli, all'estero. Anche se in patria gli hanno conferito, quando era giovanissimo, due Leoni d’Oro per il cortometraggio al Festival del cinema di Venezia, questo non basta a fare giustizia alla sua bravura e alle sue capacità artisitiche. Ciononostante, e al di là della sua non più giovane età, egli continua a essere presente sulla scena del cinema internazionale, soprattutto come maestro che viaggia per il mondo insegnando agli studenti di regia, con il racconto della sua esperienza da cineasta e produttore, una visione originalissima, e diversa da quella usuale, del cinema, che si pone in un continuo confronto con le più avanzate tecnologie esistenti e con quelle del futuro. Durante le pause di lavoro da anni Baldi va “in ritiro” nella sua suggestiva casetta in pietra immersa nel verde collinare dell'Appennino romagnolo, tra Brisighella e Modigliana, e questo, nonostante a Roma possieda una splendida e, per il tempo in cui fu costruita, avveniristica villa sulla Flaminia, progettata da un giovanissimo studente di architettura il cui nome sarebbe divenuto da lì a qualche anno famoso: si trattava, infatti, di Paolo Portoghesi. “Credo di aver contribuito a mettere in evidenza il talento di quel giovane facendogli realizzare la mia dimora romana” afferma, con orgoglio, il regista.
E' anche colui che per primo nel Dopoguerra ha utilizzatoin Italia la presa diretta in tutte le sue potenzialità, conferendo a questa tecnica la dignità di formidabile mezzo espressivo. Ed è ancora il produttore coraggioso che ha realizzato pellicole difficili firmate da personaggi del calibro di un Godard, di un Bresson e di un Pasolini. Mai, come per questo artista, il detto “nessuno è profeta in patria” suona veritiero. Essere un outsider, e per giunta lungimirante, non ha certo giovato alla sua carriera, i maggiori riconoscimenti come regista Baldi li ha ottenuti, e continua a ottenerli, all'estero. Anche se in patria gli hanno conferito, quando era giovanissimo, due Leoni d’Oro per il cortometraggio al Festival del cinema di Venezia, questo non basta a fare giustizia alla sua bravura e alle sue capacità artisitiche. Ciononostante, e al di là della sua non più giovane età, egli continua a essere presente sulla scena del cinema internazionale, soprattutto come maestro che viaggia per il mondo insegnando agli studenti di regia, con il racconto della sua esperienza da cineasta e produttore, una visione originalissima, e diversa da quella usuale, del cinema, che si pone in un continuo confronto con le più avanzate tecnologie esistenti e con quelle del futuro. Durante le pause di lavoro da anni Baldi va “in ritiro” nella sua suggestiva casetta in pietra immersa nel verde collinare dell'Appennino romagnolo, tra Brisighella e Modigliana, e questo, nonostante a Roma possieda una splendida e, per il tempo in cui fu costruita, avveniristica villa sulla Flaminia, progettata da un giovanissimo studente di architettura il cui nome sarebbe divenuto da lì a qualche anno famoso: si trattava, infatti, di Paolo Portoghesi. “Credo di aver contribuito a mettere in evidenza il talento di quel giovane facendogli realizzare la mia dimora romana” afferma, con orgoglio, il regista.
Che nel raccontare i momenti più importanti della sua vita artistica e privata, traccia le linee essenziali lungo le quali scorre la storia del cinema.
Bolognese di nascita, prima milanese e poi romano di adozione e, fin da giovane, sempre in giro per il mondo. Perchè Gian Vittorio Baldi ha scelto di vivere in Romagna e proprio in quella sua parte più “selvaggia”, genuina e maggiormente refrattaria alla modernità?
“Ho sentito il bisogno di tornare sui passi dei miei antenati che erano fabbri a Brisighella oltre mille anni fa e che sono sepolti nel piccolo cimitero accanto alla Pieve del Thò. Oltre al richiamo degli avi, c’è anche un altro motivo che mi ha spinto a vivere in Romagna, ed è il ricordo, toccante e sempre vivo nella mia memoria, di me adolescente a Lugo, dove ho trascorso da sfollato i due ultimi anni della Seconda guerra mondiale. E’ stato un periodo di enormi difficoltà: la fame, la miseria più assoluta, la guerra. Ma anche un tempo di grande formazione, dove a fare da contrappeso a questi affanni c’erano i sentimenti di umanità e di solidarietà della gente del luogo. In realtà mi sento molto legato a tutta
l' Emilia Romagna, tantissimi anni fa ho persino voluto sperimentare la bontà della sua terra fondando un’azienda viti vinicola, che oggi ha la sede e i vigneti a Modigliana. Un'azienda che permise in tempi lontani a questa regione di ottenere il primo riconoscimento di certificazione di qualità”.
l' Emilia Romagna, tantissimi anni fa ho persino voluto sperimentare la bontà della sua terra fondando un’azienda viti vinicola, che oggi ha la sede e i vigneti a Modigliana. Un'azienda che permise in tempi lontani a questa regione di ottenere il primo riconoscimento di certificazione di qualità”.
Nel 2005 lei ha donato una parte del suo prezioso archivio legato alla storia del cinema italiano e straniero alla biblioteca comunale di Lugo di Romagna. Un gesto di riconoscenza per l'ospitalità ricevuta da ragazzo?
“Sì. Per affetto e per gratitudine verso questa cittadina che porto sempre nel cuore. L’opportunità di creare il fondo alla Trisi è nata dall’incontro con l’ex direttore Igino Poggiali. Si tratta di quasi quattromila libri, di una mole cospicua di materiale cartaceo e di audiovisivi. E’ una testimonianza importante della mia vita artistica e familiare, anche quella più intima, e della storia del cinema italiano e mondiale del '900. Vorrei che l’archivio venisse aperto a tutti al più presto, specialmente ai giovani, e anche che ogni tanto si tenessero a Lugo delle proiezione dei miei film”.
Il suo modo di fare cinema e la sua poetica affondano le loro radici nelle atmosfere da lei vissute da ragazzo nella Bassa Romagna?
“Il paesaggio, la gente, la situazione politico sociale, tutto un ambiente e dei momenti particolari che ho vissuto nella Seconda guerra mondiale in questa parte di Romagna, hanno influenzato fortemente la mia poetica. Le esperienze dell’adolescenza sono quelle che ti rimangono dentro”.
Quali i registi dell’Emilia Romagna che sente più affini?
“Con Michelangelo Antonioni ho cercato di fare, una volta uscito dall’Università, da aiuto regista, assistente, manovale, ma non ci sono riuscito. Siamo diventati amici anni dopo. Per me è stato un inarrivabile artista e grande maestro. Con Federico Fellini esisteva un bellissimo rapporto, mi chiamava il mio “baldone”. La sua esperienza era, però, lontanissima dalla mia; lui era un grande caricaturista, bravissimo disegnatore con una geniale fantasia macchiettistica e battutistica e si appoggiava ad autori del calibro di Ennio Flaiano o del mio amico Tonino Guerra, io, invece, credo nel cinema dell’autore, quello che fa tutto da sé, come uno scultore o un pittore”.
Da cosa nasce la sua passione per il cinema?
“A Milano, un mio fratello che lavorava per il Sole24ore come critico cinematografico, mi diede la possibilità di andare al cinema al posto suo. Eravamo da poco arrivati dalla Romagna e andare a vedere i film americani e il musical gratis, a 15 anni, appena usciti dalla guerra, non poteva che essere entusiasmante. Così divenni io stesso il critico. Da lì decisi di frequentare regia all’Università di Roma, una volta laureatomi cominciai a lavorare con la televisione francese, poi con quella italiana; infine mi staccai, diventando regista e produttore autonomo”.
Come avviene il suo passaggio dal mondo della regia a quello della produzione cinematografica?
“Esistevano dei talenti che non riuscivano a trovare il modo di esprimersi perché il mercato li condizionava, allora io mi sono detto che dovevo aiutarli, facendo il produttore”.
Cosa ne pensa del cinema italiano di oggi?
“Che è un disastro, con le sole eccezioni di Marco Bellocchio e di Paolo Sorrentino, due autori straordinari. Per il cinema, come lo intendevamo noi, non esiste più futuro nè in Italia nè nel mondo. Oggi c’è l’immagine in movimento, nelle sue mille trasformazioni e possibilità, dal videogioco al film sul web. La mia prossima opera intendo produrla così. E’ questo il futuro. Il che significa la fine dei circuiti cinematografici e la morte di migliaia di sale, ne rimarranno una o due per città, come per il teatro lirico”.
Non prova un po’ di rimpianto?
“Già 50 anni fa affermavo che i film si sarebbero venduti in video cassette in edicola e che il cinema si sarebbe evoluto con le nuove tecnologie; allora questa sembrava un’eresia, ma poi è accaduto. E’ per queste mie tesi, più che per le mie produzioni e per le mie opere, che mi chiamano in tutto il mondo. Lo scorso anno ho tenuto lezioni agli studenti anche in Cina e in India. Quanto al cinema del '900, questo rimarrà come una memoria storica straordinaria, me se si pensa cosa bisognava affrontare per fare un film, cioè una serie di passaggi lunghissimi più una serie di condizionamenti, altrimenti incappavi nella censura, come è stato nel '59 per il mio “Luciano”, dove già affrontavo il tema della pedofilia dei preti, o per il film di Pasolini, “Porcile”, ritengo sia meglio così. Prima o poi tutto cambia: alla carrozza a cavalli è subentrata l’automobile, alla macchina da presa tradizionale i nuovi mezzi tecnologici. Non vedo niente di male in tutto ciò, anzi, potrebbe trattarsi di una grande occasione di libertà”.
In apertura di pagina, Gian Vittorio Baldi con il regista Pier Paolo Pasolini. Qui sopra nella sua azienda viti - vinicola mentre osserva soddisfatto un tralcio delle sue viti
Accanto, la villa a Roma di Baldi progettata dal famoso architetto Paolo Portoghesi quando ancora era studente