Grazie don Ersilio Tonini per il senso di umanità e di amore cristiano che ci hai saputo trasmettere
Che tu riposi in pace, beato tra gli angeli del paradiso...
Sotto una mia “vecchia” intervista (ma sempre attuale per i temi
che si affrontano) nel ricordo commosso di Monsignor Ersilio Tonini,
Cardinale emerito di Ravenna, sua città di adozione, dove era ospite nella Casa di accoglienza Santa Teresa e dove, purtroppo, si è spento il 28 Luglio scorso all'età di 99 anni. La
sua figura spicca in questo tormentato secolo per essere tra le più
elevate spiritualmente ed eticamente della Chiesa di Roma
INTRODUZIONE
ALL'INTERVISTA
Sono
passati esattamente due anni da quando, in occasione del suo
compleanno, intervistai il Cardinale Ersilio Tonini. Era il 20 luglio
del 2011 e Monsignore, come tutti lo chiamavano qui a Ravenna, di
anni ne compiva novantasette. Lucidissimo, brillante e instancabile
nella conversazione, dal fisico asciutto e apparentemente in buone
condizioni d salute, tutto in lui faceva presagire che avrebbe avuto
una vita lunghissima. Che avrebbe raggiunto i cento anni e che,
magari, li avrebbe ampiamente sorpassati. Invece non è stato così.
Monsignore non ce l'ha fatta, appena otto giorni dopo il suo 99°
compleanno, se ne è andato. Per i ravennati, per chi lo ha
conosciuto, per i fedeli tutti si è aperto un grande vuoto, una
dolorosa ferita come avviene quando si perde un vero amico, di quelli
su cui si può sempre contare. Di quelli che ti sanno leggere
nell'animo e che con poche parole, mirate e senza retorica, ti sanno
indicare la via da percorrere per andare avanti. Per cercare di non
cadere più. Con Don Ersilio Tonini scompare una delle figure più
schiette, trasparenti e fraternamente vicine ai deboli e agli umili
che la chiesa italiana, e non solo italiana, abbia conosciuto in
questi ultimi tempi.
Quando
fu realizzata questa intervista ancora non c'era Papa Francesco,
infatti di lui qui non si parla, sono certa, però, che al Cardinale
Tonini piacesse tanto questo nuovo Pontefice. Tra i due religiosi
colgo parecchie similitudini. E' anche per questo che mi piace
immaginare il nostro Monsignore intento a proteggere da lassù (dal
Paradiso, dove di sicuro ora si trova), Francisco, ispirandogli tanto
amore e tante buone azioni a favore degli “ultimi”, così come,
con estrema generosità, lui stesso fece nel corso della sua
vita.
INTERVISTA
AL CARDINALE ERSILO TONINI
realizzata il 20
luglio 2011 nella Casa di accoglienza Santa Teresa a Ravenna
di
Marilena Spataro
E'
il grande vecchio della chiesa cattolica, il più anziano cardinale
vivente. In questi giorni Monsignor Ersilio Tonini compie
novantasette anni, è nato, infatti, il 20 luglio del 1914 in un
paese dell'alta Emilia, a Centovera di Sangiorgio Piacentino.
Arcivescovo di Ravenna (di cui è tuttora Cardinale-Arcivescovo
emerito) dal '75 al '90, è rimasto a vivere in questa città,
ospite, con tanti altri sacerdoti in “pensione”, dell'istituto
d'accoglienza Santa Teresa. Nel corso della sua vita, durante la
quale ha assistito ai più importanti eventi che hanno segnato la
storia e la società del XX e del XXI, egli non si è mai tirato
indietro nel dire la sua. Lo ha fatto, e continua farlo, senza troppi
condizionamenti e tanto meno pregiudizi, sempre, però, con la
benevolenza e con l'equilibrio della guida spirituale, oltre che con
l'apertura mentale e la libertà di pensiero dell'autentico
giornalista (è stato prima direttore di Avvenire e poi
amministratore delegato della Nei, la società editrice del
quotidiano cattolico) e con la verve critica e l'acume
dell'opinionista televisivo. In questa ultima veste, Monsignor
Tonini, ha riscosso un tale successo da diventare una delle figure
mediatiche più famose e popolari del mondo cattolico, basta pensare
al consenso ottenuto nel '91 quando insieme a Enzo Biagi animò la
trasmissione televisiva “I dieci Comandamenti”, giudicata
dalla stessa Chiesa quale “esempio straordinario di moderna
catechesi che si avvale del mezzo e del linguaggio televisivo”. A
sostenerlo nel suo eclettico viaggio esistenziale, un'incrollabile
fede e un'insaziabile sete di conoscenza. “Avevo cinque anni
quando, percependo che la mia vita l'avrei voluta dedicare a Dio,
comunicai ai miei genitori questo mio desiderio di diventare
sacerdote” ricorda il cardinale. Che racconta come già allora,
alla sua forte vocazione religiosa corrispondeva un'altrettanta
vocazione verso lo studio e la cultura: “alla stessa età imparai a
leggere alla perfezione. Pur essendo un contadino, mio padre sapeva
leggere e scrivere benissimo, e, avendo capito quanto in me fosse
forte la volontà di sapere, mi diede lezioni”. Queste
coordinate, insieme a una straordinaria sensibilità umana, fatta di
attenzione per i poveri e per i diseredati, guideranno il pensiero e
l'azione dell'alto prelato durane tutto il suo sacerdozio,
rendendolo, ieri come oggi, un punto di riferimento spirituale e
culturale per migliaia di fedeli e di laici di tutte le nazionalità.
L'amore per i più umili lo indurrà a schierarsi al loro fianco in
varie occasioni, prendendo anche iniziative abbastanza insolite per
una figura di così elevato rango della chiesa di Roma. Appena
arrivato a Ravenna lascia il suo appartamento nel palazzo
arcivescovile a un nucleo di tossicodipendenti, ritirandosi
nell'istituto che tuttora lo ospita. Nell'87, invece, interviene
pubblicamente condannando con parole dure l'abolizione prevista da un
contratto del settore tessile della «domenica festiva», "simili
iniziative distruggono la dignità stessa del lavoro" tuonò
Tonini. Altro suo intervento che fece scalpore fu quello di condanna
della regola del profitto senza limiti nell'economia, regola additata
come la vera responsabile del tragico rogo della «Elisabetta
Montanari», la nave incendiatasi nel porto di Ravenna con tredici
persone a bordo. Sul finire degli anni '80, il cardinale lancia la
campagna «Uma vaca para o Indio» che diverrà un emblema
dell'impegno della chiesa a favore dei poveri del terzo mondo. Si
trattò di una raccolta di fondi per l'acquisto di mandrie da far
pascolare sulle terre degli indios Yanomani in Brasile. Secondo la
legge di questo Paese tali terre non potevano esser loro tolte solo
in presenza delle mandrie che vi pascolavano. L'iniziativa fu
considerata di tale importanza da essere appoggiata persino da Papa
Wojtyla che vi aderì con un suo personale e generoso contributo.
E'
così, monsignor Tonini, difendendo il lavoro e le istanze della
povera gente, che è riuscito a conquistare la fiducia dei cittadini
di Ravenna, una città notoriamente laica, dalle forti radici
repubblicane e anticlericali?
“Fui
mandato a Ravenna in un momento piuttosto critico, quando in effetti
la tensione tra laici e cattolici era piuttosto alta. Quanto ho fatto
e ho detto fin dal primo momento che ho messo piede in questa città,
era il frutto delle mie più profonde convinzioni e del mio modo di
vivere la fede. Lasciare le mie stanze dell'episcopio a chi ne aveva
più bisogno di me è stato un gesto spontaneo, naturale, ma questo
piacque molto ai revennati. In realtà io non ho mai amato troppo
l'agiatezza, le confido che a volte facevo fatica a indossare persino
un certo tipo di paramenti liturgici o ufficiali particolarmente
vistosi. Sono figlio di contadini, di gente semplice e laboriosa,
ricca, però, dei valori cristiani. Devo a loro l'aver imparato cosa
significhi il rispetto verso l'altro e la carità. Mio padre era capo
bifolco e dirigeva circa trenta famiglie di contadini che badavano al
podere, ho sempre visto quanto rispetto avesse per i suoi sottoposti
e per il loro lavoro. Per non parlare del rispetto che nutriva nei
confronti di mia madre, sulla quale non l'ho sentito alzare mai
nemmeno la voce. Ed è proprio questo stesso senso profondo del
rispetto che ho ritrovato nei ravennati, gente assolutamente
rispettosa di tutto e di tutti, che mi ha reso subito loro vicino. Ho
apprezzato fin dall'inizio questo modo di essere e loro lo hanno
capito, ricambiandomi con tanto amore. La volontà divina ha fatto il
resto, aiutandomi a far venire, dopo quaranta anni, il Papa in questa
terra. Non dimenticherò mai l'accoglienza sincera con cui i miei
concittadini lo hanno ricevuto. E' stato qualcosa di cui sarò sempre
grato ai ravennati. Devo molto a questa gente, ad essa mi sento
profondamente legato, è per questo che ho deciso di non lasciarla
nemmeno dopo le mie dimissioni da Arcivescovo. Loro hanno bisogno di
me e io ho ancor più bisogno di loro e del loro sostegno”.
Nonostante
le sue posizioni “originali”, a volte anche un po' fuori dal coro
dell'ufficialità cattolica, lei ha sempre ottenuto il consenso dei
vertici del vaticano e la stima incondizionata di tutti i suoi
pontefici. Quale è stato il segreto che le ha permesso di ottenere
questo risultato?
“Vivere
la fede con il cuore, supportandola con le ragioni della cultura e
della conoscenza delle cose. Questo il segreto, se di segreto si può
parlare. La fede e la cultura insieme hanno una forza straordinaria,
dirompente, sono imbattibili. Mi sono manifestato così ai miei
superiori come anche ai miei fedeli e loro hanno capito e mi hanno
sostenuto. Perchè il mio modo di sentire era anche il loro. E'
bastato saperlo comunicare”.
Oggi
quali reputa essere i difetti e quali i pregi della nostra società?
“Tutte
le società di tutti i tempi hanno difetti da rimproverarsi e pregi
da vantare. Non esiste la perfezione su questa terra, ciò non
significa però che si debba rinunciare all'anelito di migliorare le
condizioni di vita della società. Anzi. In tal senso oggi esistono
possibilità grandiose. Basti pensare al progresso fatto dalla
tecnologia e dalla scienza in questi ultimi tempi. Quello che occorre
fare è utilizzarle in maniera intelligente e giusta, a favore, non
contro l'uomo”.
C'è
qualche aspetto del passato per il quale nutre rimpianto e che
secondo lei occorre recuperare?
“L'amore
per la cultura. In questo momento c'è poca attenzione per questo
aspetto, che, invece, è imprescindibile laddove si voglia che esista
la civiltà. Le ragioni della cultura vincono sopra la violenza e
quindi anche sulla guerra. Quando Orazio scrive “Graecia capta
ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio” non fa altro
che affermare questo principio, e cioè che la Grecia, conquistata
dai Romani, conquistò a sua volta il feroce vincitore portando le
arti nel Lazio agreste. La nostra civiltà occidentale affonda le sue
radici nella cultura, quella ebraica e quella greca. Senza di queste
non sarebbe esistiti né Roma, né tanto meno l'immenso patrimonio
culturale, giuridico e artistico che questa ci ha lasciato; occorre
ricordarlo, lavorando in tale direzione, specialmente in Italia, dove
abbiamo una gioventù straordinaria che aspetta di essere
valorizzata”.
Lei
è stato anche insegnante e ha sempre rivolto uno sguardo di
particolare attenzione ai giovani e agli studenti. Oggi nel nostro
Paese molti di loro sembrano disorientati, soprattutto i più
motivati allo studio e alla ricerca si sentono costretti ad andare
all'estero per avere qualche chance di lavoro. Quale è la sua
opinione al riguardo?
“Non
vedo aspetti di particolare negatività in questo desiderio di andare
all'estero. Impadronirsi della cultura e della lingua degli altri
popoli secondo me è un arricchimento. Quello che oggi occorre capire
è che ormai le barriere dei vecchi Stati sono cadute. Viviamo in un
villaggio globale dove la circolazione di idee e di saperi è
essenziale per la crescita di tutti. Chiudersi nell'egoismo e nel
patriottismo di una volta non ha senso. Se pensiamo a quante tragedie
sono state consumate in nome di un'idea patriottica distorta, non
possiamo non convenire che sia solo un bene la circolazione libera di
persone, di conoscenze e anche di merci da un paese all'altro. Vedo
poi che molti giovani scelgono l'Inghilterra come loro meta per lo
studio, è questo va benissimo. Il mondo anglosassone e la Germania
sono oggi gli eredi della nostra cultura occidentale. Il diffondersi
della lingua inglese a livello internazionale, al posto di quella
francese, un tempo la più parlata, ha coinciso con uno straordinario
progresso dell'umanità. Dico questo anche per esperienza personale:
aver conosciuto il tedesco mi ha dato fin da giovanissimo la
possibilità di approfondire la grande cultura giuridica del mondo
romano guardando oltre, verso la modernità. Parlare più lingue,
poi, mi ha consentito di conoscere meglio i popoli e le loro culture,
permettendomi, quando la Chiesa ne ha avuto bisogno, di rendermi
utile rispetto ad alcune problematiche da risolvere con civiltà e
popoli molto diversi dal nostro. Ovviamente le nostre istituzioni
scolastiche, fin dalle elementari, devono essere in grado di formare
gli allievi, preparandoli a trarre il massimo beneficio dalla loro
esperienza di studio all'estero”.
Pensa
che la nostra scuola così come è oggi sia in grado di assolvere a
questo compito?
“Innanzitutto
tengo a precisare, che nella formazione di base, la scuola pubblica
ha un ruolo di primaria importanza. Prima di entrare a undici anni in
seminario, i miei studi li ho svolti nelle scuole pubbliche. E' stata
un'esperienza di grande formazione, senza la quale non avrei potuto
proseguire bene con gli altri studi. Devo molto ai miei insegnanti
delle elementari, che continuo a considerare anche i miei primi
maestri di vita. E' importante che le istituzioni e la politica si
occupino della scuola nel modo più serio possibile. Ne va del futuro
dei nostri giovani, ma anche di quello della nostra società”.
In
questo ultimo decennio si è manifestata tra un sempre maggior numero
di giovani, soprattutto tra le ragazze, del nostro paese, la tendenza
a bruciare le tappe, inseguendo il successo e il denaro a tutti i
costi, senza porsi tanti problemi morali. Molti opinionisti ritengono
che il mezzo televisivo e i mass media in generale abbiano
contribuito a dare una grossa spinta in tal senso. Più che il
cardinale, come guarda a questo moderno fenomeno il giornalista
Tonini?
“Non
mi pare si tratti di un fenomeno di ampia portata e nemmeno tanto
nuovo. Sono stato parroco di Salsomaggiore. Le giovani che venivano
lì per l'elezione di Miss Italia non erano poi tanto diverse da
quelle di oggi. Tutte brave ragazze. La vanità è una componente del
femminile quindi va capita, quello che non occorre fare è renderla
l'unica componente della personalità. In questo il mondo adulto,
soprattutto la scuola, gioca un ruolo importante al fine di evitare
che questo accada. Quanto ai media, il limite di cui mi sembra oggi
soffra l'informazione, è di aver in qualche modo perso il contatto
con la realtà. Al tempo in cui facevo il giornalista, svolgere
questo mestiere significava confrontarsi continuamente con la gente,
aprendo dibattiti viso a viso sugli argomenti di maggiore attualità.
A Piacenza utilizzavamo il teatro a tal fine, era sempre pieno di
lettori che desideravano capire e dire la loro sui fatti, non
assistere da spettatori, come, invece, si tende a fare con il
pubblico in televisione. Ecco, la vera partecipazione della gente è
quello che oggi manca nei media”.
Le
recenti rivoluzioni in Nord Africa hanno accentuato il fenomeno delle
emigrazioni di massa da questi territori verso Italia e Europa. La
tentazione di alcuni governi europei è di chiudere le frontiere.
Cosa ne pensa al riguardo, esiste a suo parere un modo per affrontare
questa situazione senza dover calpestare i diritti di nessuno?
“Innanzitutto
c'è da dire che le recenti istanze di libertà emerse in questi
paesi del Nord Africa vanno appoggiate, ovviamente con mezzi
pacifici, non certo con la guerra. Siamo di fronte a una novità
assoluta, a una opportunità di diffondere la democrazia nel mondo
che non può che giovare a tutti, Occidente compreso. Accogliere gli
immigrati significa cogliere questa opportunità; dando loro la
possibilità di entrare a vivo contatto con la nostra cultura si
aiuta la democrazia e la libertà nel mondo. Certo, occorre essere
concreti nel far questo, predisponendo una serie di strutture
efficienti e ospitali per l'accoglienza di tanta gente”.
C'è
chi teme che integrando questi popoli, di cui la maggior parte
appartiene al mondo islamico, l'Occidente possa correre per il futuro
il rischio di perdere il primato della sua cultura e delle sue
tradizioni religiose. Lei che ne pensa?
“L'Islam
non è riuscito a prevalere negli anni Mille quando era agguerrito e
molto forte, figuriamoci oggi. La nostra cultura occidentale non è
sradicabile nè dall'Islam nè da nessuno, inoltre non credo
minimamente vi sia da parte dell'Islam alcuna intenzione di
colonizzazione culturale o di altro tipo. Ringraziando Iddio i
colonialismi sono finiti, da qualunque parte essi provengano e da
qualunque interesse siano essi mossi. Nessuno si faccia illusioni in
tal senso. E' un capitolo chiuso per tutti. Quello che deve prevalere
nel nostro tempo è la cultura del rispetto reciproco. Il compito
dell'Occidente è proprio quello di promuovere la cultura della
tolleranza”.
Come
vive oggi monsignor Ersilio Tonini?
“Bene,
accanto agli altri sacerdoti, ai malati e ai fedeli. Ogni mattina mi
sveglio e, come mi ha insegnato mia madre, mi stupisco di esserci, di
esistere, creatura di Dio, fatta a sua immagine e somiglianza in un
creato stupendo. Ogni uomo è a sua immagine e somiglianza e per
questo, già solo per questo, dovrebbe essere felice e grato alla
vita. E questa è una cosa grande, enorme, di cui dovremmo essere
tutti consapevoli per condurre un'esistenza piena e serena. Il giorno
in cui ogni uomo capirà l'immenso dono che è la vita, allora
vivremo in pace”.