Pan, scultura in terracotta dipinta
Lo scultore che narra le 'origini'
dando forma al mito
dando forma al mito
di Marilena Spataro
E' arrivato alla scultura a quasi quarant'anni. Non se ne è più distaccato. A familiarizzare con l'arte, Mario Zanoni ha cominciato che era giovanissimo, prima come musicista in una band che faceva il rock, un genere musicale che andava per la maggiore negli anni '60-'70, poi come coreografo e attore nel teatro sperimentale. Ma tutto questo, probabilmente, non gli bastava. La sua vena creativa aveva bisogno di spaziare trovando forme espressive altre, forme che fossero più aderenti alla sua indole di artigiano, di maestro del fare più che di interprete di lavori altrui. Questo sentire profondo lo ha portato a esplorare campi artistici a lui ignoti, facendolo, infine, felicemente approdare nel mondo delle arti figurative. “La musica non ha forma perché è un’emozione. Fare musica per il teatro mi avvicinò alla forma mantenendomi al contempo vicino al ritmo. E' così che ho capito che la scultura deve danzare o anticipare il movimento o mantenerlo segreto, facendolo, però, percepire: l’opera, anche se di pietra, non deve essere ‘pietrificata’” spiega lo stesso artista. Che qui svela il percorso lungo il quale si snodano le tappe dell'anima prima di arrivare a dare forma artistica all'idea.
Fin dal suo esordio come scultore, lei è stato considerato dalla critica un gotico. Si riconosce in questa lettura?
“Nell’intervista l’intervistato è costretto ad intervistare se stesso. Ne scaturisce una verità per l’intervistatore ed una per se stessi. Quindi, due menzogne? No, due verità creativamente diverse.
La mente non segue il percorso del navigatore satellitare, esce spesso dalla via maestra per
curiosare tra i sentieri nascosti, la classicità nell’arte è la via maestra, io esploro sentieri aspri e sconosciuti camminando all’indietro, racconto le mie visioni da naufrago della civiltà industriale
terrorizzato dal cosiddetto ‘progresso’. Le mani modellano la terra alzandola verso il cielo in una tensione eternamente inappagata poiché spirito e materia sono la stessa cosa. Essere definito gotico mi fa pensare all’artigiano del passato remoto che vorrei essere”.
Dal punto di vista della poetica quali sono i suoi riferimenti storico - culturali?
“Se di poetica si dovesse trovar traccia nel mio lavoro non mi assumo responsabilità e penso di poter affermare che di fronte all’opera, poetica pittorica o musicale che sia, ciascuno è
unico nelle sue emozioni, questo non garantisce né l’autenticità e nemmeno l’originalità
dell’opera ma certamente verità del proprio sentire e manifestare”.
Nel corso della sua carriera artistica lei ha prediletto il lavoro in terracotta, ma non ha disdegnato di realizzare anche opere in bronzo, alcune delle quali monumentali. Quale la differenza nel lavorare con l'una piuttosto che con l'altra materia? A livello emotivo quale delle due la soddisfa di più?
“Data l’idea, la materia segue il pensiero nelle sue forme, il materiale è un fattore tecnico. Emotivamente mi dà piacere modellare la cera d’api, si intenerisce col calore delle mani ed è quasi come plasmare la propria pelle, si può riscaldare in bocca, ha sapore di miele e profuma di fiori”.
Cosa la fa sentire più vicino all'universo, manipolare la terra o realizzare un lavoro da lei concepito in tutto, che, però, poi viene eseguito materialmente da altri, come in genere oggi accade con le opere in bronzo o in marmo?
“Dell’universo faccio parte a tempo pieno, nella gioia e nel dolore e la morte non mi separerà: sicut erat in principio, ora et sempre in omnia secula seculorum. Per l’esecuzione dei lavori importanti nel rinascimento c’erano le ‘botteghe’ dove i maestri insegnavano e gli allievi apprendevano non solo pennello e scalpello ma anche una visione del mondo. Oggi nelle accademie dipingono sulle tele con la scopa e il mondo lo vedono in televisione digitale ad alta risoluzione ma bassa qualità”.
Quale è il momento più importante dal punto di vista dell'ispirazione di un'opera? Per lei e' più emozionante il momento creativo o quello della fase conclusiva, quando il lavoro le si presenta finito?
“Non è una spinta razionale ciò che induce l’uomo alla manifestazione creativa, ma, secondo me, è sperimentare l’attitudine che l’uomo possiede, tra le tante, di dare corpo, usando materia e colore ai molti aspetti della sua immaginazione. E non saprei nemmeno motivare il mio sentire così intimo con questo antico mondo archetipo magico fiabesco, eterna rigenerazione di vita di morte dove tutto torna sempre uguale e sempre diverso e sempre misterioso per la nostra mente ostinatamente perduta nella ricerca del ‘significato’”.
Per essere artisti occorre possedere necessariamente una componente narcisistica?
“La teoria romantica del ‘genio’ ha radici molto antiche, solo nel Rinascimento viene associata al concetto di creazione artistica. In sintesi, prima del Rinascimento il giudizio di valore per un’opera d’arte si basava sull’estetica della ‘mimesi’ , dell’imitazione della realtà. Dopo, la ‘mimesi’ viene sostituita dalla creazione, si passa da un’estetica oggettiva ad una estetica soggettiva. L’interesse si sposta dall’opera alla persona dell’artista che, come spesso accade, vuol essere ancora più protagonista del suo stesso lavoro”.
In questi ultimi anni lei ha aderito a una linea di pensiero che guarda al mondo dell'arte contemporanea con occhio critico. In sintesi, quali sono le coordinate estetiche e culturali cui fa riferimento questa "corrente" artistica?
“Faccio parte di un gruppo di artisti che rifiutando progresso e modernità riporta alla luce il mondo arcano della tradizione simbolica e degli archetipi dimenticati ma sempre operanti nel profondo della natura umana. Rappresentare il mito che ci racconta l’origine. Archetipo è l’evento o il personaggio che per destino, forza spirituale o avventura nella tradizione diventa mito”.
Quale è la differenza che fa di un artista un intellettuale piuttosto che un artigiano?
Tra le due figure oggi quale è quella che prevale? Lei quale sente più congeniale al suo modo di fare arte?
“Per Vasari il genio aveva bisogno di essere fecondato dal sapere e riconosciuto dal potere, come avveniva al tempo di Lorenzo de’ Medici, despota illuminato. Il problema delle arti figurative di oggi è di non essere più nel rinascimento ma nel totale rimbambimento, un certo signor Cattelan, per esempio, vende brutti bambocci di plastica per milioni di dollari. Oggi prevale il ‘performer’ per cui persino Sgarbi è un ‘artista’, ma il teatro è un’arte. Borges affermava: “io sono ciò che ho letto, non ciò che ho scritto”. Io mi nutro di passato remoto, camminando tra le altissime colonne della cattedrale che sembrano le cupe foreste del nord, respirando la penombra che sa d’incenso accendo una candela troppo fioca per illuminare quell’immensità, vorrei che questa fosse la mia casa. Come Gaudì che viveva nella ‘Sagrada Familia’”.
Lo scultore Mario Zanoni è nato a Lugo di Romagna nel 1946. Vive e lavora a Sant'Agata sul Santerno. Ha al suo attivo decine di mostre collettive e personali, di cui alcune tenutesi all'estero. Le sue opere fanno parte di prestigiose collezioni pubbliche e private. Suoi lavori monumentali in bronzo si trovano a Ravenna e a Lugo.
al monumento in bronzo Sol Invictus